Di Andrea Caropreso
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Ve li ricordate i tempi in cui la Serie A era vissuta dai grandi patron italiani che erano i primi tifosi della propria squadra? Da Berlusconi a Moratti passando per Agnelli e Della Valle. Ecco, quei tempi non esistono più (e già da un pezzo). Nel calcio moderno, sempre più all’insegna del business e della competitività sul piano internazionale, difficilmente una singola famiglia, seppur ricca, può amministrare un club di caratura internazionale.
Ed ecco che, soprattutto negli ultimi due lustri, sono venuti in soccorso i dollari provenienti da oltreoceano. Se infatti in campionati come la Premier o la Ligue 1 a farla da padrone sono stati i petrodollari degli arabi, nella nostra Serie A sono stati i “verdoni” a stelle e strisce a tendere una mano ai vecchi proprietari italiani. Ma è davvero questo il futuro che si prospetta?
Le proprietà a stelle e strisce
Con l’uscita di scena da parte di Zhang alla guida dell’Inter e dunque col passaggio nelle mani del fondo statunitense Oaktree, sono diventate ben 8 le proprietà americane in Serie A.
Tra i pionieri ci fu la Roma prima di Pallotta ed ora dei Friedkin. Contestualmente è stata la volta del Milan che è passato prima per le mani del fondo Elliot e poi per quella del contestatissimo Cardinale.
E così via dicendo le altre sono state la Fiorentina con l’arrivo Rocco Commisso, l’Atalanta, che ha ceduto le quote di maggioranza all’italo americano Stephen Pagliuca, il Parma comprato da Krause, il Venezia di Joe Tacopina ed il Genoa che però è stato recentemente venduto dal fondo americano 777 Partners all’imprenditore rumeno Dan Sucu. A queste si è aggiunto l’Hellas Verona, visto che dopo 12 anni il presidente Setti ha venduto al fondo Presidio Investitors. Per un totale di 8 società su 20 che sono nelle mani di investitori a stelle e strisce.
Come se non bastasse si aggiungono poi le altre proprietà straniere come il Bologna, nelle mani del canadese Saputo, e il Como dei miliardari Hartono.
Perché gli americani hanno investito nel calcio
L’opinione comune ha portato in tanti a sostenere che la ragione per la quale gli americani hanno posato gli occhi sul calcio europeo è perché ormai non si tratta più solo di un gioco ma di un vero e proprio business. Pertanto, si sa, dove girano capitali milionari girano anche gli imprenditori americani. Questa spiegazione però ci racconta soltanto una verità parziale rispetto alla realtà dei fatti.
Come detto precedentemente, un’altra verità risiede nell’insostenibilità da parte dei patron italiani di gestire i club a certi livelli. Per farci un’idea infatti gli americani hanno portato nella sola Premier League circa 5 miliardi di dollari negli ultimi 10 anni (massimo esempio è il Manchester United). Mentre invece, rimanendo nell’ambito della nostra Serie A, le cifre sono comunque esorbitanti. Circa 2 miliardi spesi nel periodo fra il 2018 e il 2024.
Denaro che, naturalmente, non attiene soltanto alle cifre spese per l’acquisizione dei giocatori, ma anche alla gestione del bilancio del club, nonché all’espansione del brand e alla costruzione di infrastrutture. In questo senso infatti torna preponderante il progetto stadio che in Italia stanno provando a realizzare Inter, Milan e Roma.
I risultati
A fronte di tutti questi capitali investiti, però, non sempre (anzi quasi mai) c’è stato un riscontro di risultati sportivi soddisfacenti. In questo senso le ragioni potrebbero essere molteplici. Gli americani infatti hanno un modo di concepire lo sport totalmente diverso da noi europei. La passione e la voglia di trionfare è secondaria rispetto alla gestione del club sul piano aziendale.
Gli investitori a stelle e strisce infatti hanno posto in essere un modello più manageriale. In altre parole la priorità è sempre stata orientata alla sostenibilità dell’azienda (che in questo caso sarebbe il club), ai ricavi (tra cui il merchandising), all’esportazione del marchio nel resto del mondo, allo sviluppo delle infrastrutture e infine alle strategie di player trading (acquisto e vendita giocatori con margini per ricavarne plusvalenze).
Ecco che dunque si vengono a scontrare due mondi. Uno, quello europeo, in cui i tifosi vorrebbero maggiore presenza da parte del proprietario come un tempo avrebbero fatto i già citati Berlusconi e Moratti. Un altro invece, quello americano, in cui gli algoritmi, il trading e i capitali freschi (con obiettivo di profitto) la fanno da padrone. Verosimilmente ci sarà da abituarsi perché il calcio moderno può essere sostenibile solo così, ma, forse, sarà anche il caso che i portafogli stranieri si calino maggiormente nel contesto in cui hanno deciso di investire.
Di Andrea Caropreso