Di Andrea Caropreso
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Potrebbe sembrare paradossale, ma in realtà negli ultimi 5 anni le volte in cui il Paris Saint Germain è riuscito a superare gli ottavi di finale di Champions League sono state quelle in cui non c’era il tridente dei sogni Messi-Mbappe-Neymar. Una coincidenza? Forse. O forse la verità è che anche gli Dei del calcio si sono ribellati ad un modello imprenditoriale, quello del club parigino, che, da quando è iniziata l’era di Al Khelaifi, ha lasciato più di qualche dubbio in merito alla gestione delle finanze.
Il “modello” PSG
Quante volte ci siamo chiesti come fosse possibile che il PSG riuscisse a sostenere stipendi ultramilionari pagando i cartellini dei giocatori a peso d’oro? La spiegazione risiede in un acronimo: QSI. Ovvero Qatar Sport Investment. Questa holding, con sede a Doha in Qatar, è infatti quella che possiede le quote di maggioranza del ricco PSG. Risalendo al 2011 fu infatti l’emiro Tamim bin Hamad Al Thani, tramite l’organizzazione dello Stato, ad acquistare il 70% delle quote del club parigino.
Cifra a cui un anno dopo è seguita l’acquisizione del restante 30%, che di fatto ha sancito la proprietà del club nelle mani dello Stato del Qatar (sebbene nel 2023 una piccola parte sia stata rivenduta al fondo Arctos). Ciò che ne è conseguito dunque è stato un modello di business che ha fatto sì che il Paris Saint Germain potesse aumentare i propri ricavi del 700%, ma contestualmente anche i propri costi del 640%.
In questi anni infatti il club ha toccato record impressionanti non solo sul piano sportivo. Se è vero che ha fagocitato l’intera Ligue 1 vincendo quasi tutti i campionati, è altrettanto vero che ha toccato il picco di stipendi pagati in una stagione: 728 milioni nell’anno del tridente stellare. Tutto in teoria regolare se non ci fosse una normativa chiamata Fair Play Finanziario che club più piccoli e meno possidenti devono rispettare rigidamente e che invece il PSG ha saputo aggirare per anni.
Come funziona il Fair Play Finanziario
Il Fair Play Finanziario (FFP) voluto dalla UEFA , rappresenta una serie di paletti (o per meglio dire norme) che i club europei devono rispettare per evitare di incorrere in sanzioni che possono comportare anche l’esclusione dalle coppe. Tra gli obiettivi ci sono infatti quelli di far sì che i club non si indebitino oltremodo e che spendano più di quanto guadagnano.
Facendo un esempio concreto, un club nel giro di un triennio dovrebbe evitare di accumulare perdite superiori a 60 milioni. Qualora ciò accadesse ci sarebbero sanzioni che possono variare da multe salate fino all’esclusione dalle competizioni UEFA. Non è pertanto raro vedere tante società essere costrette a vendere un pezzo pregiato della rosa pur di incassare un tot di milioni necessario a chiudere il bilancio entro il 30 giugno con perdite limitate o in pareggio.
Ultimamente la Uefa ha rivisto in parte questo sistema. Da un lato rendendo più soft la regola sul pareggio finanziario, dall’altro introducendo un tetto massimo di spesa per giocatori e allenatore, calcolato sul fatturato del club. Un limite pari al 90% delle entrate nella stagione 2023/24, all’80% nella stagione 2024/25 e al 70% nella stagione 2025/2026.
PSG e FFP: un rapporto ambiguo
La legge, in teoria, dovrebbe essere uguale per tutti ma negli ultimi anni molte perplessità in merito al PSG (e non solo) sono sorte. Da Neymar pagato 222 milioni fino alle spese faraoniche provocate dall’acquisizione di Mbappe passando all’ingaggio di Lionel Messi, sono tanti i punti di domanda a cui dare risposta.
Prendendo infatti in esame il periodo precedentemente esplicato ovvero 2020-2025, il PSG ha accumulato notevoli perdite. Dai 124 milioni dell’anno del Covid fino ai 109 della passata stagione. Eppure continua a comprare. Circa 160 infatti i milioni spesi nella passata estate. Il modo in cui tutto questo diventa aggirabile è quella sigla annunciata precedentemente: QSI.
La Qatar Sport Investment, tramite contratti di sponsorizzazioni come Qatar Airways e tramite ingenti aumenti di capitale, permette al PSG di poter registrare nei propri bilanci, spesso non resi pubblici, una quantità di milioni sufficiente a coprire le perdite. In questo modo dunque il club parigino riesce ad ottenere fondi esterni (che per la UEFA non sarebbe possibile) al fine di dare l’apparenza di un rapporto tra costi e ricavi sano. Dal 2011 al 2024 sono stati 3 aumenti di capitale e 4 versamenti (l’ultimo l’anno scorso per 270 milioni) che hanno teso, per l’ennesima volta, un mano al PSG per aggirare le regole. Un totale di quasi 1 miliardo di euro in 13 anni.
Fino ad oggi la UEFA ha chiuso più di uno occhio, arrivando a comminare al massimo una multa di 10 milioni. Cifra irrisoria se si guarda alle molteplici irregolarità enunciate. Negli ultimi due anni il club ha iniziato un percorso apparentemente più “virtuoso” liberandosi delle super star con ingaggi faraonici e puntando su giovani talenti, alcuni dei quali provenienti dal vivaio. Che sia l’inizio di un nuovo corso? Difficile, ma possibile.
Di Andrea Caropreso