A cura di Federico Calabrese
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Mondiali 1998, Stade de France di Saint Denis, 3 luglio. In uno degli impianti più iconici della Francia si svolge il quarto di finale più atteso di quei Mondiali. Da una parte c’è la Francia, che spera di portare a casa il primo Mondiale della propria storia. Dall’altra l’Italia di Cesare Maldini, che può contare su Vieri, Inzaghi, Del Piero e Baggio.

Mondiali 1998, Baggio e quella sliding doors
Una partita tesa dove nessuna delle due formazioni in campo ha voglia di rischiare, più i minuti passano e più le menti dei 22 in campo sono ormai rivolte ai calci di rigore. L’orologio continua a girare, un tempo che sembra non passare mai. Si arriva al dodicesimo del primo tempo supplementare. Albertini vede l’inserimento di Roberto Baggio, il passaggio è perfetto nonostante la posizione del Divin Codino sia leggermente defilata. Controllo perfetto, ed è qui che arriva la conferma di come, nel calcio, le sliding doors possono cambiare la storia.
Un finale diverso ai Mondiali in Francia
Una girata meravigliosa, un’azione perfetta che nel libro perfetto meriterebbe il finale ideale. Una giocata romantica che però finisce a tanto così dal palo. Poi arriverà il rigore di Di Biagio, stampatosi sulla traversa, arriverà la Francia che batterà Croazia e Brasile per poi alzare, per la prima volta nella sua storia, la Coppa del Mondo.
La storia indecifrabile
Quel 3 luglio del 1998, ormai 27 anni fa, la storia poteva avere un finale diverso. Il calcio è bello anche per questo, romantico ma tragico allo stesso tempo, un eterno “vorrei ma non posso”, eterne promesse non mantenute o rimpianti del tipo “come sarebbe andata se”. Roberto Baggio è forse la figura più iconica del calcio italiano perché, nel bene o nel male, ha racchiuso e ha scritto un pezzo di storia.
Gol, assist, giocate, rigori sbagliati e occasioni sprecate. Il Divin Codino è la sintesi del significato più puro del calcio, perché si tratta sempre di sliding doors che avrebbero potuto cambiare il corso della storia. Una storia già scritta nel destino? Chissà, ma il calcio è bello anche per questo. Bello perché imprevedibile, bello perché davanti alla porta non si ha mai la certezza di cosa potrebbe accadere. E lì, sugli spali, un bambino al fianco del nonno sospira in attesa di quello che sarà. Il calcio è poetico per questo. Quel giorno, allo Stade de France, la ruota girò verso la formazione transalpina. L’ennesimo tassello di una storia che non potrà mai avere lo stesso copione.
A cura di Federico Calabrese